Urihell ha scritto:Beh, pensa che la situazione è peggiorata al punto che, dopo vari traslochi, vivo in un monolocale con loro due. Lo spazio è davvero ristretto, senza un minimo di privacy. È dura, perché nonostante faccia di tutto per evitarli, assorbo comunque il malessere che generano incessantemente. E, a quanto pare, sono l'unico a patirne le conseguenze. È comunque un sollievo sapere che tu sei riuscita a uscire da un contesto simile; dev'essere una sensazione incredibile quella di sentirsi "liberi".
Deve essere davvero molto dura non avere letteralmente uno spazio fisico privato. Lo è già di per sé normalmente, ma in circostanze del genere è ancora più logorante. Spero davvero tanto tu riesca a trovare una soluzione alternativa.
Urihell ha scritto:Hai menzionato l'oversharing, ed è la prima volta che qualcuno me ne parla. Mi ha colpito. Anche oggi provo un fastidio profondo quando cerco di aprirmi, perché so già che qualunque risposta potrebbe irritarmi o, peggio ancora, infastidirmi e offendermi. Vorrei solo "starci male", provare amarezza o forse vergogna. Invece, la maggior parte delle volte, tutto ciò che sento è una grande perdita di tempo, cosa che odio profondamente. A volte alcune persone hanno cercato di approfittarsi di me. In quei casi, sapevo benissimo dove si sarebbe andati a finire, ma per disperazione ho permesso loro di ferirmi. Spero sempre che, dopo l'ennesimo colpo, mi entri in testa di lasciar perdere.
Penso che tendenzialmente la maggior parte delle persone non sa stare a contatto col proprio disagio emotivo, quindi la prevedibile conseguenza è che non sappiano gestire quello degli altri. Si finisce a:
- fare la gara dei problemi "ah stai male? Pensa che io....", ad invalidare e minimizzare "non hai motivo di essere triste/ansioso/arrabbiato" "dovresti ritenerti fortunato, c'è chi sta peggio mentre a te non manca niente",
- farne una questione di volontà e di ottimismo tossico "devi pensare positivo" "basta non pensarci" "basta voler star bene" "se vuoi puoi tutto",
- fornire tutta una sfilza di soluzioni e consigli non richiesti per poi, incapaci di gestire la propria frustrazione e impotenza, lamentarsi quando l'altra persona non li segue alla lettera per tornare quanto prima a star bene.
Non si capisce che quando qualcuno parla della propria sofferenza, bisogna innanzitutto ascoltare, ascoltare per comprendere (perlomeno provarci) e non per rispondere e liquidare il tutto prima possibile. Anche i consigli, ben vengano laddove siano effettivamente richiesti. Non bisogna avere la pretesa di "aggiustare" l'altra persona, quanto di tenerle la mano, mostrarle che non è sola. Anche banalmente domandare "cosa posso fare per aiutarti? Di cosa avresti bisogno ora?" può fare la differenza. Non sono domande sciocche, sono un modo rispettoso di capire come stare accanto ad una persona sofferente, senza agire con superficialità, anche perché magari quello che farebbe bene a me, non necessariamente farebbe bene all'altro. Veniamo tutti da storie diverse.
Urihell ha scritto:Mi viene da sorridere pensando alla questione dell'aiutare gli altri, davvero. Poco dopo la rottura con quella ragazza, ho cercato di entrare in contatto con altre persone borderline, iscrivendomi a vari gruppi social per un confronto. Ricordo che, ad ogni nuova conoscenza, rivivevo quella stessa attrazione "chimica", come se fossimo due parti di uno stesso essere. L'intesa e l'attrazione erano così forti da alimentarsi a vicenda, su ogni piano delle nostre vite. È successo con la prima ragazza, poi con la seconda, la terza... andando avanti, ho capito che non si trattava di una questione sentimentale o romantica. I nostri traumi erano opposti: loro avevano bisogno di un punto stabile, io di qualcosa che mi smuovesse, e in un certo senso funzionava. Sarà che non sono il classico narcisista, mi è stato spiegato più volte cosa sia la dicitura "Covert" e infatti ogni volta che conosco una persona non mi crede, anzi spesso mi sento dire "ma tu sei come me, sei molto empatico!".
Gongolo, lo ammetto. È un po' come passare un esame, studi tanto e ottieni il massimo dei voti.
Sono comunque una persona molto diretta, per questo non credo di essere un "aiuto" per gli altri. Se fai qualcosa che non mi piace, non riesco a trattenermi dal dirtelo, e probabilmente ci aggiungo pure un pizzico di sarcasmo acido. Lo faccio apposta? Non lo so, non credo.
Conosco bene l'attrazione chimica di cui parli, è la stessa che mi ha tenuta incastrata in un loop di relazioni distruttive e fallimentari.
Avevo questo mito delle persone rotte che rimettono insieme i propri pezzi con un abbraccio (sì, ho avuto questa fase idealista romantica esasperante). Poi i presupposti erano un disastro già dall'inizio. Avevo una concezione pessima di me stessa in quanto mi ritenevo una persona problematica, un peso, qualcuno da sopportare (concezione consolidatasi nel corso di varie esperienze di vita). La chiara conseguenza era che il rapporto partisse già fortemente squilibrato perché io pensavo di dover fare sempre i tripli salti mortali per meritare una briciola dell'amore di qualcuno, magari anche tra una vessazione e l'altra. Quindi ero una calamita per le persone affette da disturbo narcisistico: empatica, disperata, pronta a farsi strapazzare, devota al punto di cucirsi i prosciutti sugli occhi, sola e quindi manco bisognava fare lo sforzo di isolarmi per manipolarmi meglio... Cioè, forse era pure troppo facile, infatti chiaramente ci doveva essere sempre qualcun altro nella relazione, che ovviamente però a detta loro esisteva solo nella mia testa da pazza paranoica
Mi è piaciuta la similitudine col test: magari parte di quell'empatia è reale, non è frutto di una strategia. E ti dirò di più: l'empatia è una capacità che si apprende, non è innata. Ci sono persone più o meno predisposte. Magari la psicoterapia che hai fatto ha migliorato le tue competenze.
Non penso che l'essere una persona diretta sia incompatibile con l'essere d'aiuto. La relazione si porta avanti con i compromessi e con la comunicazione efficace. Se non condividi le scelte di una persona puoi dirglielo con i giusti modi e al momento opportuno.
Per il tipo di storia clinica che hai è comprensibile che al minimo sentore di crollo dell'immagine idealizzata (non pensavo avrebbe potuto fare/dire questo) o rifiuto/minaccia, scatta quell'allarme che innesca il comportamento interiorizzato per gestire quelle situazioni: l'evitamento (non ne vale la pena), il commento sarcastico (rabbia: mi hai deluso).
Di fatto spostando il focus da me all'altro, posso farmi tutta una serie di domande che possono evitarmi della frustrazione in un secondo momento:
Dire questa cosa può cambiare in meglio lo stato d'animo/situazione della persona? Serve più a me o alla persona? E' in grado adesso di accogliere quello che voglio dire? Perché sento di voler agire così? Cosa dice di me questo? C'è un modo migliore per dire questa cosa senza infierire?
Da persona impulsiva ho dovuto imparare a prendermi quell'attimo di tempo per pormi queste domande, perché non volevo ferire e soprattutto non volevo stare male con me stessa per aver detto cose sull'onda dell'emotività del momento.
Urihell ha scritto:È vero quello che scrivi, e fa maledettamente male. Poco fa ero online con loro: tutti si salutano, e io, che spesso ho il microfono spento, mi limito a scrivere in chat, venendo ignorato la maggior parte delle volte. Ci sta, le frasi si perdono nelle chat, sono l'unico a vivere questa situazione, e va bene così. Poi arriva il logout: quasi istantaneamente apro YouTube, cerco musica il più velocemente possibile e inizio a scrivere. A volte, però, non faccio in tempo, e in quel minuto sento urla e bestemmie. Diventa tutto surreale. Un attimo prima ridevo con gli altri, quasi malinconico mentre sloggavo, e poi, all'improvviso, odio e minacce. È destabilizzante.
Comunque, penso che il problema non sia il virtuale. Alla fine è solo un mezzo. Il problema sono le persone che promettono, parlano, illudono, e poi, quando smetti di condividere una passione – come un gioco, nel mio caso – smettono anche loro di esistere. Certo, a volte ci si sente anche al di fuori del gioco, ma senza quello è come tornare ad essere semplicemente estranei. Forse è questo quello che intendi con "dura per il tempo necessario". Beh, viene quasi da dire che è solo tempo perso, ma ogni tanto incontri qualcuno che vale la pena sentire, lo ammetto.
Diciamo che ormai se non hai il microfono in certi giochi nemmeno ti prendono nel gruppo/gilda/legione per fare i vari dungeon, forse anche per una questione di coordinazione. Ci sono persone che passano a giocare tantissimo tempo, magari non per appagare un bisogno sociale, ma soprattutto per evitare una situazione spiacevole, per avere il controllo su qualcosa, per soddisfare manie di grandiosità (nella realtà la mia vita fa schifo, mi maltrattano tutti, ma se nel gioco sono forte e ammirato tutto questo mi pesa di meno). Altri invece sono lì per passare il tempo, semplicemente.
La dimensione virtuale è percepita in maniera differente, per alcuni è molto "reale" per altri è una sorta di dimensione parallela dalla quale ci si può semplicemente deresponsabilizzare al momento del logout, ecco perché molte amicizie se traslate dall'altra parte poi non funzionano... Vanno bene solo nel loro contesto.
Tempo perso non lo so, dipende da come la vedi. A me piace pensare che ogni persona che incontriamo, nel bene e nel male, lascia qualcosa.
Penso anche che anche l'individuo più coerente ed inamovibile nel tempo cambia: modo di pensare, di vedere, di percepirsi, di relazionarsi, di porsi obiettivi futuri. Ecco perché prima ho parlato parentesi che scandiscono intervalli della nostra esistenza, intendevo questo con "dura il tempo necessario". Ho imparato anche che non sempre andare d'accordo con una persona basta a creare un rapporto d'amicizia, che ricordiamoci è una relazione tra due persone costruita e consolidata nel tempo, proprio perché magari, per quanto ci trovassimo bene insieme, ero solo io a voler investire le mie risorse (tempo e impegno). Fa rabbia, ci si sente un po' rifiutati e a volte frustrati perché non si capisce il motivo, però si può anche lasciar andare queste emozioni per portarsi dentro qualcosa di buono.
Urihell ha scritto:Sinceramente? Non lo so, a volte penso di aver solo incasinato tutto. La mia consapevolezza è costruita, forse la parte più difficile è stata mettermi in gioco. Le mie ultime relazioni erano tutte un continuo "aiutami a capire, parliamone", chiedendo all'altra persona di farsi una cultura sui miei disturbi per farmi notare la tossicità che io non vedevo. Sai quanto è difficile ammettere di sbagliarsi quando sei assolutamente certo non solo di avere ragione, ma anche di sapere cosa l'altra persona desidera per essere felice, meglio di lei stessa? È stata una continua lotta interiore, che spesso sfociava in discussioni accese, intense, a volte anche fisiche, pur di riuscire ad accettare di avere torto.
Perché è così, no? Se ho torto, devo comunque trovare il modo di mantenere il controllo, cercando di vincere in qualche modo, anche a costo di trascinare tutto sotto le lenzuola, se necessario. Che casino, guarda. Solo a pensarci, mi ripeto che "sto meglio da solo". Quegli schemi mentali non mi abbandoneranno mai, semplicemente prima vivevo nella beata ignoranza, ora cerco di non fare danni e invece...
Diciamo che questo è un terreno scivoloso. E' importante che prima di chiunque altro sia tu ad avere chiare quelle che sono le tue difficoltà e note dolenti, solo dopo possiamo chiedere agli altri una maggior comprensione su quelle che sono le nostre difficoltà. E' importante e coraggioso chiedere aiuto nel gestire queste problematiche, specie quelle che potrebbero ripercuotersi sulla relazione, tuttavia bisogna ricordarsi che non deve essere mai una pretesa.
Nella mia ultima relazione, inizialmente non sono mancati degli attriti perché alcune cose lui non le poteva comprendere. A volte si è posto in maniera superficiale ed indelicata, ferendomi. Tuttavia parlandone, anche discutendone (sempre nei limiti) lui ha iniziato a provare a capire, ad ascoltare. Ora è davvero tanto di supporto e quelle situazioni non si verificano praticamente più. Eppure è qualcosa che abbiamo costruito insieme appunto.
Hai ragione, è difficilissimo mettersi in discussione quando non si ammette errore, quando si ha bisogno di avere il controllo. E' davvero una grande cosa quella che hai fatto e non mi meraviglia se, nel momento in cui magari ti si faceva notare un comportamento discutibile, tu abbia reagito animatamente.
L'ultima frase è straziante e posso comprendere davvero tanto ciò di cui parli. Ti mando un abbraccio.
Io vedo tanto margine di miglioramento, spero te lo riconoscerai e mi auguro che avrai presto l'opportunità di riprendere la psicoterapia.
Noi non siamo solo una lista di criteri diagnostici e problemi, ricordalo.
Urihell ha scritto:Strano ma vero, sono stato spesso carnefice, ma una volta anche vittima. Sì, mi sono annullato per una donna, e indovina? Probabilmente era una narcisista. Avevo già la diagnosi, e sì, avevo notato quelle maledette dinamiche e tattiche. Ci sarebbe tanto da dire, ma probabilmente dei due sono stato io quello a finire peggio. Lei era probabilmente una "Overt" e, infatti, all'inizio tornava sempre, in lacrime, dicendo che in qualche modo era attratta da me, nonostante io la ignorassi per lo più. Dopo mesi di battibecchi, tira e molla e colpi bassissimi, venne fuori la sua vera natura. Dire che mi schiacciò è poco: trascinarmi al centro dell'attenzione con lei era la sua tattica preferita. Sapeva che mi avrebbe messo a disagio, e sapeva anche che gestiva meglio di me quelle situazioni.
Una volta le dissi che sotto ai riflettori trovi gli attori, mentre le persone sincere le trovi nell'ombra. Dopo quella pseudo-relazione, mi sentivo così distrutto, svuotato, senza più un'identità. Forse è grazie a lei che ho capito di non voler essere così: tossico al punto da godere nel mettere gli altri a disagio, letteralmente sotto i miei piedi. No, non sarò mai così sadico.
Vedila così: da questa esperienza hai potuto sperimentare come si può stare dall'altra parte (+empatia) e cosa non vuoi assolutamente essere (un sadico). Il prezzo da pagare è stato altissimo, ma hai anche potuto imparare qualcosa di importante su te stesso e acquisire una competenza in più.
Ti ha anche magari dato la possibilità di vedere sotto un'altra luce dei comportamenti che, seppur in misura ed in maniera diversa, puoi aver messo in atto anche tu.
Urihell ha scritto:Addirittura tra le parole riesco a notare quella "chimica" di cui ti parlavo. Abbiamo detto praticamente la stessa cosa. Non so se anche a te è successo, ma una delle ragazze borderline che ho conosciuto mi disse: "Vorrei essere anche io narcisista, solo che quando mi comporto male poi mi sento in colpa!". Scoppiai a ridere e le risposi che la differenza stava proprio lì: io, anche quando ferisco, sono convinto di comportarmi bene. Sarò strano, ma in queste interazioni ci vedo tanta dolcezza, anche quando si parla di sofferenza.
Capisco molto bene tutto quello che hai scritto. Io, invece, divento apatico. La mia mente inizia a pianificare, organizzare, elaborare... cose, piani. Ho la IBS, in una forma molto grave, e con l’agorafobia è sicuramente la parte più invalidante della mia vita. Non è giusto, sai? Non lo è. Soffriamo perché le cose sono sbagliate, troppo sbagliate. Chi è fortunato non se ne rende conto, e chi non capisce sminuisce, offendendo con la propria ignoranza.
Per questo continuo ad avere standard alti, in ogni situazione. Amicizia? Bene, non conoscenza. Si può essere colleghi, conoscenti, ma amici è tutt’altro. Non riesco ad accontentarmi. Forse per questo i miei standard sono troppo alti, e resto da solo? Sì, sono praticamente sempre solo, quindi di cosa dovrei avere paura? Parli di feedback esterni. Sì, anche io a volte ne ricevo, e possono far piacere, ma non mi cambiano la vita. Per Tizio sono simpatico, per Caio antipatico, e poi arriva Sempronio che mi vede in modo tutto suo. Hai notato, vero? Quella sensazione di menefreghismo che sale. Come se non ti dicessero mai quello che vuoi sentire.
Sì, mi è successo in momenti di rabbia di pensare questo, specie quando magari qualcuno mi fa un torto. Avendo imparato a gestire i miei accessi d'ira e l'impulsività (anche se forse in maniera discutibile visto quel cortocircuito che in questo caso mi porta a reprimere e "sorvolare"), qualche volta rimpiango la versione precedente di me che tirava fuori una sfilza di parole taglienti ed un sarcasmo davvero pungente. Però poi mi dico che non ne vale la pena, che sarebbe una gratificazione solo nell'immediato, pagata a caro prezzo in termini di conseguenze e senso di colpa.
La combinazione agorafobia ed IBS è davvero problematica in effetti e stare in quell'ambiente secondo me gioca un ruolo cruciale in questo...
E' vero, ci sono tante cose sbagliate, ma difficilmente le vedi se prima non le attraversi o quanto meno non provi ad ascoltare per davvero qualcuno che si apre su certi temi.
Ho evidenziato quella frase in particolare perché è letteralmente stata il mio mantra esistenziale per due decenni prima di iniziare a mettermi in discussione. Non tanto sul significato dell'amicizia, quanto sulla mia poca elasticità mentale a riguardo (o siamo amici o sto bene anche da sola). Non ci provavo nemmeno a mantenere le conoscenze o a instaurare rapporti con i miei colleghi. Il fatto è che gli amici, prima di essere tali, sono sempre sconosciuti e per diventare amici è necessario che entrambe le parti lo desiderino e dedichino le proprie energie a coltivare un rapporto che solo attraverso il tempo poi effettivamente si evolve in amicizia. Sicuramente ci sono dei fattori che aiutano (avere interessi in comune, affinità caratteriale, vissuti simili) e le tempistiche sono variabili.
Ho iniziato così ad aprirmi di più e a dare agli altri una chance. Tanto, la base di partenza è che tanto io da sola ci so stare, quindi al massimo mi arricchisco di qualcosa se va bene.
Urihell ha scritto:E sei sicura che con il tuo compagno sia diverso? Dici "ovviamente", ma nel mio caso è proprio ciò che mi porta a lasciar perdere. Succede, è già successo. Un giorno ami e sei completamente preso da quella persona, e il giorno dopo non lo sai più. Poi ancora, e alla fine quasi ti infastidisce. Probabilmente è un mio problema (felicissimo che invece la tua relazione sia sana), ma ti assicuro che il mio interesse è così volubile da farmi passare la voglia di investire tempo ed energie. Credo sia proprio perché sono stato solo per tanto tempo, proprio come te.
È difficile trovare persone stimolanti.
Non sono mancati i momenti di tensione all'inizio, ma all'inizio bisogna anche conoscersi no? Però siamo rimasti, ne abbiamo parlato e insieme ne siamo venuti a capo. Ho avuto momenti in cui i miei classici pensieri disfunzionali sono riemersi, così come ho avuto momenti in cui mettevo troppo in secondo piano i miei bisogni in funzione sua. Lui ha sempre cercato di capire. Spesso le sue mancanze erano dettate da semplice leggerezza e distrazione, ma una volta compreso cosa era importante per me, ha iniziato a sbagliare sempre meno e a chiedere scusa quando accadeva. E' una persona razionale, calma e rassicurante. Amo il fatto che quando sto male posso semplicemente trovare conforto in un abbraccio, senza dover spiegare le motivazioni misteriose e abbastanza valide dietro al mio episodio depressivo. In realtà ultimamente mi sento manchevole nei suoi confronti (non perché lui mi abbia dato modo di pensarlo, è una cosa mia). Sono stata davvero tanto depressa e vorrei essere io adesso a coccolarlo un po' di più, solo che non mi sento del tutto in forze e ho tanti pensieri... E' strano per me non dover fare i salti mortali per meritare l'affetto degli altri, non sono abituata.
Tornando alle relazioni in generale, mi sento di condividerti quello che è diventato poi il mio nuovo mantra esistenziale:
“Io sono io.
Tu sei tu.
Io non sono al mondo per soddisfare le tue aspettative.
Tu non sei al mondo per soddisfare le mie aspettative.
Io faccio la mia cosa.
Tu fai la tua cosa.
Se ci incontreremo sarà bellissimo;
altrimenti non ci sarà stato niente da fare.”
F. Perls, Preghiera della GestaltUrihell ha scritto: Ormai è il passato. L'unica cosa che rimpiango è di essere stato troppo arrogante. Non spettava a me aiutarla, soprattutto quando io stesso avevo bisogno. Anche adesso, nonostante sia più informato, non credo che sarei riuscito a cambiare le cose. E tu? Chissà quante situazioni difficili hai passato. Alla fine, avere una relazione sana è davvero una soddisfazione, no?
Non mi sento di esprimermi su questa ragazza. Non si può mai sapere con certezza dove finisse la verità e iniziasse la menzogna e comprendo che questo possa provocare incredulità, rabbia, disgusto, delusione... Sono cose davvero pesanti quelle che ha raccontato, ma cerca di pensare che, anche qualora non fosse vero, sarebbe l'ennesima manifestazione di una persona che ha un grande bisogno di aiuto.
Hai detto bene, non eri tu a doverla aiutare, almeno non rispetto a questo. Quello che potevi fare era starle vicino ed accompagnarla lungo il percorso. Non è una cosa facile e hai fatto bene a tirartene fuori dal momento che non stava funzionando.
Magari adesso gestiresti le cose diversamente, ma comunque non spetta a te "aggiustare" una persona problematica. Ogni relazione che nasce da questo presupposto, degenera. Queste dinamiche sono state illustrate brillantemente da Karpman attraverso il concetto del triangolo drammatico.
Secondo lui ogni persona può, attraverso le proprie interazioni con l'altro, seguire degli schemi comportamentali. Individua sostanzialmente tre ruoli: vittima, salvatore e persecutore. Ogni ruolo permette di soddisfare un bisogno egoistico: dipendenza ed evitamento delle responsabilità, evitamento dei problemi e superiorità morale, controllo ed evitamento dei propri sentimenti negativi. Il problema è che all'interno dei così detti giochi pericolosi (relazioni disfunzionali), questi ruoli non sono statici, bensì dinamici, per cui la vittima può diventare persecutore etc.
Sì be'... Ne ho passate tante. A volte sono la prima che minimizza, complici anche le tante svalutazioni che ho subito... Avere una relazione sana mi sembrava impossibile e a volte ho veramente tanta paura che tutto possa finire all'improvviso, o che l'altra persona improvvisamente inizi a vedermi sotto la stessa luce infame attraverso la quale mi vedo io...
Urihell ha scritto:Beh, sai dove trovarmi. Sono nuovo da queste parti e sto già impazzendo cercando di capire come funzionano le citazioni!
Dici di non essere empatica e allora, questo fiume di parole che ci stiamo scrivendo cos'è per te? Smettila di prenderti colpe che non hai. Vuoi essere giudicante? Vai, spara. Così almeno lo fai su di me e non su te stessa. Vuoi indossare una maschera? Vediamo se anche la mia ti piace.
Rispetto molto il fatto che mi hai raccontato di te, del tuo passato, e soprattutto di quello che pensi.
Quindi grazie, direi che questo "sfogo" è servito. Anche solo rileggendo quello che ho scritto (vangeli e bibbia a parte), mi sono decisamente stabilizzato.
E non mi sembra di aver offeso nessuno nel frattempo! Cavolo, sto diventando proprio bravo.
Non dico di non essere empatica, è solo che quando mi sento dissociata dalle emozioni è più difficile e cerco di compensare sul piano logico.
In realtà non vorrei mai essere giudicante. Non dico che non giudichi mai, tutti ci formiamo delle idee sul mondo, ma da qui a sentenziare cose ci passa un oceano. Che poi comunque non bisogna farsi troppo condizionare dalle idee che ci si fa all'inizio sulle cose.
La mia maschera è perlopiù quella che uso all'esterno per essere funzionale. Quella che va al lavoro, chiacchiera coi colleghi, ride e scherza. Poi c'è quella che torna a casa e socializza con le coinquiline, ascolta i loro problemi... E alla fine ci sono io, che vorrei solo mettere in pausa la mia vita aspettando che questo passi perché è davvero faticosamente estenuante vivere così. In questo senso mi sento una specie di impostore. Sono tre persone diverse e non mi sento nemmeno una.
Sono contenta che lo sfogo sia servito e che tu stia meglio. Non hai offeso nessuno, almeno dal mio punto di vista, quindi ottimo lavoro!